Questa volta il creatore del gruppo vorrebbe farvi credere che un sistema automatico sia in grado di trovare, fra le foto del profilo di tutti gli utenti del gruppo, quella che più assomiglia alla vostra.
Premesso che la cosa – dal punto di vista puramente tecnico – sarebbe anche fattibile (anche se con risorse computazionali elevate e con diversi vincoli sui soggetti da confrontare – vi posso assicurare che non otterrete certamente questo risultato tramite l’iscrizione al gruppo.
Ecco alcuni indizi sfavorevoli:
Il sito web a cui punta il gruppo è inesistente, o per lo meno mal configurato.
Il testo è scritto in maniera del tutto incoerente: prima vi si dice che servono 14 giorni, poi che il sistema vi darà il risultato in poche ore.
Il “comunicato” è firmato da un certo Davide Falstazzi, la cui identità su Facebook e sulla intera rete sembra essere poco credibile.
Una nota positiva è che l’autore ha scritto nel comunicato che non è necessario invitare i vostri amici, a differenza di quanto accaduto nel caso del gruppo creato per scoprire i visitatori del proprio profilo. Tuttavia questo non ha fermato il meccanismo estremamente virale, che ha portato il gruppo ad avere a pochi giorni dalla sua creazione oltre 500.000 iscritti.
Dovete convertire un blog da Blogger a WordPress, o il viceversa? Più facile a dirsi che a farsi, per una serie di ragioni legate all’imperfetto match fra i rispettivi formati (oltre ad una serie di problematiche legate alle impostazioni locali del server, che impattano sulle date, sui caratteri accentati etc etc.
Adesso però c’è un’arma in più, messa a disposizione proprio da Google, che peraltro ve la fa pure ospitare sui propri server.
Sono disponibili delle librerie python per la conversione fra i formati di importazione/esportazione di Blogger, WordPress e Live Journal, oltre che un discreto supporto al formato open BlogML.
Attenzione: usando la piattaforma di Google c’è un limite molto stringente (1 MB) per la dimensione dell’xml prodotto, quindi in questa configurazione il tool può essere usato solo per un numero limitato di articoli o per un blog piuttosto piccolo. Ovviamente potete sempre utilizzare il codice per conto vostro, nel qual caso il problema no si pone.
Che Facebook sia il social network più in voga del momento è fuor di dubbio. Ma aldilà delle valutazioni sul suo successo va evidenziato un fatto importante: il suo utilizzo si sta estendendo molto rapidamente a fasce di utenti non avvezze (o non completamente consapevoli) dell’uso degli strumenti elettronici di comunicazione.
Il risultato è purtroppo abbastanza evidente, e rischia in alcuni casi di diventare abbastanza noiosetto. Al crescee del “rumore di fondo”, a sua volta lineare (e più) col numero di utenti ed amici, diminuisce la possibilità di utilizzare questo strumento per fare cose utili.
Più che una guida all’uso, quindi (perdonatemi il titolo, irrinunciabile!), questo post vuole raccogliere una serie di consigli utili a non intasare le caselle dei vostri amici, a non soccombere voi stessi, e in definitiva a far sì che questo social network rimanga appunto una rete e non un rumorosissima piazza!
Prima un ringraziamento a Giovy che con il suo post ha già dato qualche utile dritta, ma io intendo fare un passetto oltre. Probabilmente sarà una cosa a puntate, perchè le cosa che ci sarebbero da dire sono davvero tante. Finisco questa doverosa premessa facendo presente che questo post giace nei miei draft da ormai troppo tempo. Un ulteriore spunto me lo ha fornito il recente post di Alessandro Giglioli (di cui consiglio la lettura). Per dovere di cronaca segnalo che il post l’ho letto partendo da un post di Giuseppe Granieri, dal titolo molto azzeccato (più del post stesso): Il Grande Banalizzatore.
Siccome i temi sono parecchi, questa è una “prima puntata”. Liberi di lasciare nei commenti suggerimenti per i prossimi temi.
Il Profilo e la Privacy
Su una cosa non ci sono dubbi: il profilo di Facebook è parte della nostra identità online. Lo è di quella pubblica, accessibile a chiunque cerchi con il nostro nome e cognome quell’enorme directory che è Google, oppure lo stesso Facebook, se è registrato. Lo è almeno fino a quando non andiamo a mettere un po’ di paletti nelle configurazioni della privacy.
Non tutti sanno in effetti che c’è la possibilità di limitare la visibilità del nostro profilo, dei dati che ci inseriamo, e anche dei nostri eventi (i cambi di status, l’aggiunta di amici etc) ad esempio rendendoli visibili solo ai nostri amici, o solo agli utenti registrati a Facebook.
Andando infatti sul link “Settings” e poi Privacy Settings è possibile accedere all’interfaccia che vedete qui rappresentata (E’ l’area di configurazione “Ricerca” o Search). Ancora più importante è l’area di impostazioni “Profile”, nella quale è possibile impostare dei filtri, selezionando chi può vedere il vostro profilo, le vostre informazioni personali, gli aggiornamenti dello stato, le foto in cui vi taggano etc etc. Come vedete le possibilità di personalizzazione sono davvero tante. Ad esempio potete far si che solamente alcuni dei vostri amici possano scrivere sulla vostra bacheca, o, in senso opposto, potete far si che oltre ai vostri amici (configurazione di default) possano scriverci anche gli amici dei vostri amici.
Credo che i privacy settings siano il primo elemento a cui mettere mano, se intendete utilizzare Facebook in maniera sana.
I prossimi post su questo tema saranno rivolti a chi utilizza Facebook come una chat o uno strumento di Instant Messaging, o a chi lo utilizza come repository per le proprie foto, oppure per aggiornarne compulsivamente lo status. Beh, vi anticipo che per ognuno di questi usi, esiste almeno un servizio web gratuito che vi permette di fare la stessa cosa. E meglio.
E magari con un po’ di consapevolezza in più si potrebbero evitare abusi e burle, come la storia del gruppo nato per consentirvi di “spiare” chi visitava il vostro profilo.
Tanto vale specificarlo subito: la feature è attualmente disponibile solo per telefoni cellulari degli Stati Uniti!
Ecco come funziona. Semplicemente, dopo aver attivato la funzionalità nell’elenco di quelle disponibili nel tba Google Lbas, potete inserire nella finestrella di chat un numero di telefono (US Only, e senza prefisso internazionale) e scegliere “Invia SMS”. Si apre una finestra come quella che vedete riprodotta in figura.
Vorrei ulteriormente precisare che il servizio è disponibile sono per telefoni USA (quindi anche per utenti internazionali di GMail, ma solo con destinatari dei messaggi in USA) per ora. Il che lascia presumere che possano estendere il servizio ad altre nazioni. Chissà se lo faranno anche da noi, dove il costo di invio di un SMS è, per mia esperienza, più alto che in qualsiasi altro paese.
Già dalla mia visita agli headquarter di Google, nello scorso Maggio, ricavai l’impressione, documentata da più parti, dell’approccio alla rete di quei genietti di Mountain View. La plausibile intenzione di trasformare il tessuto di cui è latta la rete nel futuro sistema operativo globale ci è stata in qualche modo confermata dalle caratteristiche di Chrome, il browser opensource che oggi rosicchia quote sia a Firefox che ad Internet Explorer. Della caratteristica di Chrome di essere fondamentalmente votato all’esecuzione di applicazioni Internet parlammo appunto a Settembre.
Quindi da un lato non stupisce che venga fuori il tanto atteso Google Operating System!. Da un lato, però. Perchè dall’altro stupisce che non sia Google a farlo, ma Good OS, una società Californiana (ma va?) già famosa per il suo gOS, un piccolo sistema operativo caricato su dei portatili da 200$ venduti da Wal-Mart.
Il nuovo sistema operativo si chiama invece gOS Cloud, e viene definito dagli stessi creatori un Cloud Operating System. In pochi secondi (quanto pochi dipende anche dalle performance della machina, ovviamente) il sistema carica all’interno di un browser il suo framework applicativo proprietario, permettendo di eseguire applicazioni all’interno di un browser.
Ora resta solo da attendere una qualche versione scaricabile e testabile, per vedere quanto di vero e concreto c’è dietro gli annunci.
Risposta: no, non c’è modo. E’ inutile che vi scervelliate. E soprattutto è inutile che cadiate nel tranello di chi ha creato un gruppo su [tag]Facebook[/tag] apposta con questa scusa! Non fatelo! Non cascateci! Vi si chiede di invitare venti amici a quel gruppo, dopo di che sarete in grado di vedere chi visita il vostro profilo. Beh, è una sonora stronzata fesseria! (Fino a quando naturalmente qualcuno non mi dimostra il contrario).
UPDATE: qualche piccolo aggiornamento.
Il gruppo è già arrivato a oltre 150mila iscritti, segno che a cascarci sono in tanti.
Cosa succede se vi siete iscritti?
Nulla! Nulla di grave, almeno. Il fondatore di quel gruppo ha la possibilità di mandarvi un messaggio, a tutti gli utenti del gruppo contemporaneamente, credo. Ma a parte questo, nessun problema.
Cos’ha di tanto strano questro gruppo?
Beh, come prima cosa, ciò che dichiara è semplicemente falso. Vi state chiedendo se io abbia provato ad eseguire la procedura? No, non l’ho fatto. Non ce n’è bisogno, per capire che si tratta di una fesseria.
In secondo luogo, il fondatore del gruppo ha ben pensato di non consentire agli utenti (ma solo agli amministratori del gruppo, cioè lui stesso!) di mandare messagig agli altri, o di scrivere sulla bacheca, o di postare qualunque tipo di link o notizia. Già questo di per se è un motivo valido per non iscriversi ad un gruppo.
Perchè lo starebbe facendo?
E che ne so? Non essendo iscritto al gruppo non so neanche se il fondatore si sia preso la briga di mandare dei messaggi. Almeno a quel punto potremmo capire il motivo. Fino ad allora, c’è solo da supporre che abbia voluto dimostrare di conoscere un meccanismo molto accattivante (tecnicamente virale) per far iscrivere le persone ad un gruppo. In questo è stato bravo!
Non hai paura che se la possa prendere con te?
Perchè? Perchè gli sto rovinando il giochino? No, non credo proprio. Perchè non gli sto rovinando proprio niente. A parte leggere le mie parole per capire che sta succedendo, gli utenti sono liberissimi di iscriversi. Anzi, ho anche precisato che è una cosa praticamente innocua. E poi ci siete voi a difendermi, vero? Vero?!?!
2° UPDATE: L’autore della burla, come lui stesso la definisce, si è premurato di scrivere un commento, che potete leggere qui sotto. Il commento contiene fra l’altro una importante correzione a quanto da me (erroneamente) sostenuto:
Spam? Pubblicita? Mah, lo sapevate che facebook, dassati i 2000 membri disattiva l’invio di gruppo? No? Certo che no!!
Qualche giorno fa ho segnalato un anomalo comportamento di Google, erroneamente identificato come bug. Mi riferivo alla feature che associa l’etichetta me al propio indirizzo, feature che gli spammer usano per far comparire come mandate da voi stessi delle mail, anche se l’ottimo filtro di Google riesce comunque ad intercettare il contenuto come spam.
Oggi si tratta invece di una cosa più seria e decisamente più pericolosa, se rapportata al fatto che molti di noi utilizzano oggi l’indirizzo di GMail come email primario e di contatto per molti servizi. Prima di alzare i toni è comunque opportuno che dica che mi riferisco ad un bug di sicurezza patchato (corretto) già da almeno un anno.
Ma tocca fare un po’ di ricostruzione, almeno un anno, appunto, di tempo!
Verso fine Settembre 2007 GNUCitizen prima descrive sommariamente una pericolosa vulnerabilità nel meccanismo di autenticazione di GMail, e poi – dopo la comunicazione da parte di Google che affermava di aver fixato il bug – la documenta con il cosiddetto proof of concept. La tecnica usata prevede sostanzialmente che l’hacker riesca ad “impostare” dei filtri che possono forwardare la posta ricevuta presso un indirizzo di suo gradimento. Oltre a esporre messaggi privati, questa tecnica può essere resa arbitrariamente distruttiva in quegli scenari in cui l’utente abbia utilizzato la casella di GMail come – ad esempio – mail di contatto per la registrazione di domini.
Pochi giorni dopo – il primo Ottobre dello stesso Anno – ZDNet pubblica un post di Ryan Naraine, un security evangelist di Kaspersky Lab, che spiega l’opportunità per tutti gli utenti di andare a controllare i propri “filtri”. La patch infatti elimina la vulnerabilità che permette all’hacker di impostarli, ma non bonifica quelli già impostati.
Negli ultimi 12 mesi (secondo questo articolo su RWW) almeno due domini di una certa rilevanza sono stati rapiticon questa tecnica, ed il secondo molto di recente!
Una delle attività più time consuming di un webmaster, almeno di uno che voglia fare bene il proprio lavoro, è la verifica della compatibilità del proprio lavoro con i browser ed i sistemi operativi più diffusi. Oppure anche quelli più disparati!
Anche se non consente di effettuare questa attività in maniera sistematica su tutte le pagine del sito, Browsershots fa un ottimo lavoro nel fare una verifica dell’aspetto dell’home page (o comunque del link che gli date in pasto) con oltre una cinquantina di combinazioni Browser/Sistema Operativo. L’elenco completo dei browser disponibili sulle varie piattaforme è in fondo all’articolo, mentre nella screenshot qui sotto trovate l’interfaccia che vi si presenta con le varie thumbnail generate come risultato del test.
Un blog trafficato e partecipato è la casa di una comunità, i cui membri esprimono con i commenti intorno alle esternazioni del “proprietario di casa” la loro presenza, e se va bene anche il loro contributo alla discussione.
Il meccanismo dei blog è profondamente virale e coinvolgente. Un commento intelligente e pertinente (o anche divertente e simpatico) ci invita a fare click sul nome dell’autore del commento stesso, per visitarne la casa, e vedere quali altre cose intelligenti o simpatiche ha da scrivere.
I sistemi di aggregazione come FriendFeed (sistemi che permettono di convogliare su un unica pagina i feed relativi a varie attività: i post sul blog, i twit, la pubblicazione di foto e video) si basano su un meccanismo altrettanto virale ed addictive. Al tempo stesso però l’interazione su FriendFeed è anche più agevole, veloce, superficiale.
Il punto sta proprio in questo: la superficialità di un commento espresso su FriendFeed, spesso limitato a pochi caratteri. Se si tratta di una battuta di spirito, allora è probabilmente un guadagno, qualcosa che magari in un blog non sarebbe mai comparsa, neanche come commento.
Ma che dire di quei post su FriendFeed che hanno decine e decine di commenti, a volte anche molto lunghi? Non sono occasioni sprecate? Mi riferisco in particolare ai post sui blog, feedati su FriendFeed, e lì commentati. Commenti che ovviamente nessuno vede più nel giro di poche ore, un paio di giorni se va bene.
La mia (personalissima) analisi
Il ridotto spessore del contatto sociale (ulteriormente ridotto, sarebbe il caso di dire) fa sì che si possa moltiplicare il numero di contatti, nonchè di stimoli, ovviamente, con una progressione certamente più che lineare col crescere del numero degli amici. Da un lato si arriva quindi velocemente vicini ad un livello di streaming tale che diventa difficile distinguere dal rumore le notizie o i commenti interessanti. In un certo senso FF viene in aiuto “riorganizzando” la timeline in modo da premiare i post più commentati o “apprezzati” (con il meccanismo dei like, ma dire likati, o laikati mi fa contorcere le budella, quindi meglio apprezzati), e dall’altro introducendo meccanismi che permettono di filtrare il tipo di contenuto che vogliamo da ogni utente. Tuttavia, ipotizzando che il tempo speso sul web dal navigatore medio sia sostanzialmente sempre lo stesso, parte di quel tempo una volta speso a commentare sui blog adesso è speso su FriendFeed.
I blog più commentati, quelli capaci di creare interazione viva col proprio pubblico, non hanno probabilmente nulla da temere. Quelli appena un po’ più giù nella scala probabilmente sì, anche se non certo ai livelli funerari espressi nel titolo.
In aiuto vengono strumenti (spesso imperfetti) di integrazione fra le due piattaforme, come quello che vedete qui sotto che integra in questa pagina i commenti generati su FriendFeed nel relativo post. Ma siamo ancora lontani dall’ottimo.
In funzione del tipo di utilizzo che fate di Flickr, l’ormai diffuso strumento di condivisione sociale di foto, vi potrebbe capitare di voler condividere le foto in modo più selettivo di quanto i “permessi base” non consentano. E magari di volerlo fare con utenti che non sono registrati al servizio.
Se avete ad esempio un set di foto, tutte o alcune delle quali private, che volete condividere con alcuni vostri amici (e non con il resto del mondo) al tempo stesso non costringendoli ad iscriversi al servizio, potete usare il comodissimo Pass Ospite che Flickr mette a disposizione.
Andate innanzitutto sulla pagina del Set (Menu “Tu” e poi “I tuoi set”, ma la cosa vale anche per le raccolte).
In alto a destra potrete notare il lick “Condividi”. Fateci click sopra. Se nel set sono presenti foto non pubbliche (quindi la cui visualizzazione è privata – ovvero riservata solo a voi – oppure riservata ai contatti marcati come amici e familiari), allora nel box che si apre vedrete tre check box (caselle di spunta) corrispondenti appunto alle tre fasce di utenza. nel momento in cui ne selezionate almeno una, si abiliterà il pulsante “Ottieni nuovo link”. Premendolo, un nuovo link comparirà nella casella di testo.
Potete a quel punto inviare quel link per posta, pubblicarlo su facebook, su twitter, sul vostro blog… Chiunque lo segua arriverà sul vostro set “bypassando” i criteri di sicurezza comuni al resto delle vostre raccolte.
Attenzione, in questo modo renderete le foto “private” di quel set accessibili ad utenti non registrati a Flickr. Questi non avranno comunque la possibilità di commentare, a meno che non abbiate scelto come policy di consentire i commenti ad utenti non registrati.