Le notizie, almeno sulla stampa italiana, sono ancora scarsissime, mentre le agenzie internazionali qualcosa raccontano, ipotizzano, immaginano…
Se volete farvi un’idea, potete leggere questo resoconto di un blogger che etichetta il caso come “The Italian Incident”.
Molto in sintesi: due giapponesi si sono fatti beccare sulla frontiera Italia-Svizzera (a chiasso) con due valige nel cui doppiofondo erano nascosti (per quanto si possano nascondere due giapponesi in un treno di pendolari europei) ben 134,5 Miliardi di dollari in titoli di stato (treasuries) del governo americano. Peraltro dei titoli di stato che per loro natura non vengono mai consegnati a clienti generici, ma appartengono tipicamente a banche centrali. Si tratta infatti di “pezzi” da 500 e 1000 Milioni di dollari.
Le ipotesi
Il blog che ho linkato fa un’ipotesi un po’ azzardata: il governo giapponese sta cercando di scaricare sul mercato nero quasi un terzo del suo credito in treasuries americani, nel tentativo di non svalutare lo stesso dollaro facendo la stessa operazione alla luce del sole.
Fanta-finanza? Chissà…
Su un quotidiano locale del 9 di luglio, ovvero un mese dopo l’accaduto ancora non si fanno altro che ipotesi in merito. Sembra che uno dei due giapponesi sia parente del governatore della banca del Giappone…che sia un depistaggio alla tesi sopra esposta o meno sembra che per il momento non sia dato di saperlo. Quello che salta un pò all’occhio, quantomeno al mio occhio comasco in tutta questa faccenda da origine ad un commento collaterale. Ovvero, l’entropia aumenta e l’omologazione pure. Qualche anno fa, cento su per giù era appannaggio solo dei locali (gli abitanti della zona di confine tra il territorio italiano e quello svizzero) il traffico e il contrabbando (per lo più si trattava di valuta, sigarette, oro e qualche volta purtroppo anche armi). Lo si può capire dalla testimonianza della fu nonna del Giovanni Bassoli che non mancava mai di dire quando l’andavamo a trovare: “..ah ma sa ricordi me quan’ che andavi su e giù cu la gerla quand che seri giuina”. Tradotto dal dialetto comasco significa che si ricordava quand’era giovane che andava su e giù (passando per i boschi per attraversare il confine evitando i posti di blocco della frontiera) con la gerla (la cesta a forma conica con le bretelle che veniva riempita di merce appunto e veniva caricata sulle spalle). Fino a qualche anno fa e, fino a una trentina di anni fa sicuramente, perchè ricordo anche io di aver partecipato a qualcuna di queste operazioni, si sapeva chi erano quelli che attraversavano il confine…La tesi che i Giapponesi pratichino questa attività da poco tempo è anche suffragata dal fatto che mai e poi mai un contrabbandiere esperto sarebbe passato per la frontiera di Ponte Chiasso, troppo controllata, troppo pericolosa. A meno che non volessero farsi scoprire…?
Ora che anche i Giapponesi si mettano a passare il confine non è un segno evidente che non esistono più confini culturali, che l’entropia e la conseguente fine della diversità è oramai giunta ai suoi massimi livelli?